borgo valle rita: il maestro e l’allievo
“Ai miei ragazzi insegno a creare armonie riproducibili anche quando gli ingredienti cambiano”.
Così dice il maestro, e l’allievo, sorridendo, annuisce.
“E’ proprio così. Un’armonia che si replica, intatta, magica, in ogni piatto. Qualunque siano gli ingredienti, l’ispirazione, il motivo che spinge a crearlo.”
Non si passa indenni dagli insegnamenti di un maestro come Angelo Sabatelli. La passione e l’amore per la cucina, la forza e la determinazione nel percorrerne le strade in salita, la ricerca della bellezza e del rigore, l’ossessione per la pulizia e l’equilibrio del gusto, l’avversione per le mezze misure e le scorciatoie rimangono indelebili tra testa, cuore e mani e segnano.
La cucina di Salvatore Amato, attento e curioso allievo ai tempi del ritorno di Sabatelli dall’Estremo Oriente e del suo esordio a Masseria Spina, è oggi intrisa di echi e luci degli anni passati a Monopoli, ma felicemente autonoma, solida, e in lenta e inesorabile ascesa.
Dopo alcune esperienze in Puglia e un breve ma illuminante passaggio nelle cucine di Enrico Bartolini al Devero Hotel di Milano, a ospitarlo, oggi, è il ristorante di Borgo Valle Rita, una vecchia e affascinante enclave agricola in terra di Ginosa, al confine tra Puglia e Basilicata, dove l’eleganza e l’essenzialità dell’autentica cucina pugliese cui Salvatore fa costante e devoto riferimento, ben si sposano con la filosofia e le scelte dell’azienda agricola biologica – di cui il Borgo è parte integrante – che è, al tempo stesso, fornitrice e ispiratrice.
Le proposte variano, infatti, in base alla disponibilità e alla ciclicità dei prodotti reperibili nella tenuta; si avvalgono di altre produzioni strettamente territoriali – latticini e insaccati, carni di agnelli, maiali e podoliche, pesce dello Jonio e dell’Adriatico – e sono il risultato di una cucina da cui è stata bandita ogni furba scappatoia e dove vigono – vivaddio – sane e imprescindibili pratiche mutuate da una solida gavetta, come le disossature, le sezionature, le sfilettature, i fondi di cottura e le salse madri, le marinature, le paste fresche e i pani fatti in casa, i brodi e i fumetti di pesce, quell’ABC, insomma, che sempre più difetta in molte giovani leve a tutto vantaggio di quel pret-a-cuisiner facilitato dai grandi distributori di eccellenze gastronomiche.
Su questa buona attitudine a non buttare via niente, esigenza primaria di ogni cucina responsabile, Salvatore ha saputo innestare una buona conoscenza dei prodotti e delle loro sinergie, la capacità di saper tirare fuori il meglio anche da ingredienti poco intraprendenti, l’abilità di addomesticare la tecnica alle proprie esigenze e una mano felice e sicura negli impiattamenti.
Certi piatti incantano, per la semplicità disarmante degli ingredienti e la complessità di gusto che se ne riesce a tirare fuori: emblematico, in questo senso, l’armonioso e godurioso pane, pomodoro e scampi.
Certi altri esaltano e fanno vibrare le papille per la freschezza e la vivacità dell’acidità attentamente tenuta a bada: il battuto di pomodoro con scampo e il crudo di seppia con zucchine marinate al lime e menta ne sono esempi lampanti.
Alcuni, come i ravioli al profumo d’estate, riportano a piatti signature del maestro Sabatelli e inteneriscono, ma fortunatamente non sono repliche pedisseque ma divagazioni, tentativi giovani ed esuberanti di superarsi e superare.
Altri ancora, apparentemente algidi, quasi rarefatti nel tentativo di “sottrarre” per arrivare all’essenza degli amati maestri, svelano, all’assaggio, insospettabili sfumature, accenti e suggestioni che denunciano una personalità in espansione. La nota del ginepro nel maialino croccante con spuma di patate è lunga, persistente e trascende le noiose erudizioni sulle lunghe cotture a bassa temperatura.
Ai dessert c’è esuberanza, incontinenza. Le riflessioni che accompagnano le altre portate svaniscono nella ricerca di risultati più immediati, diretti, senza troppe sofisticazioni. E’ piaciuta molto – non è più in carta per esaurimento scorte – la ricotta con pistacchi e salsa di mandarino, insospettabilmente barocca. Svetta, prediletta, la mousse al cioccolato – impeccabilmente eseguita – attualmente abbinata a una marmellata di albicocche del Borgo, ottimo esempio di sfruttamento sostenibile delle risorse locali.
Carlo Lunati, compassato patron di Valle Rita, non potrebbe essere più soddisfatto.
“Non avevo interesse a fare una trattoria, anche se le frequento e le amo, ma neanche intraprendere un percorso troppo ambizioso tipo quelli che ambiscono alle stelle. Volevo semplicemente una cucina che fosse quanto più possibile coerente con il posto in cui viene proposta. Una cucina in cui capisci cosa mangi, riesci a distinguere gli ingredienti e soprattutto facile da digerire.”
In poche parole, il manifesto della nuova cucina pugliese. E promozione di Salvatore Amato sottintesa.
Contrada Girifalco
Ginosa (TA)
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