di luce e d’ombra
Il posto che ti aspetti dove non te lo aspetteresti mai. Questo mi viene in mente quando, intontito dai miasmi e irritato dal cattivo gusto delle trattorie e finti wine-bar trasteverini, mi si para davanti come un’apparizione la lucentezza pacata e discreta del Glass, la sua eleganza e misura, la sua parata di luci e ombre, come servono, dove servono.
Entro e dimentico, come dopo aver attraversato un ponte levatoio che, prontamente sollevato al mio passaggio, mi fa dimenticare il ”fuori” e mi accoglie calorosamente “dentro”.
La luce, dentro, non è solo scenografia, l’arredo non è solo tendenza, la mise en place non è solo sottrazione, diversamente dal minimalismo imperante: tutto concorre, invece, armonicamente, a rilassarti e a ben disporti a un’esperienza che appare unica già dalla carta che è ricca, intrigante, eclettica.
Fai fatica a scegliere, ti sembra di rinunciare a qualcosa di veramente speciale glissando su una proposta a vantaggio di un’altra. I menu degustazione allettano, ma l’occhio scorre, curioso, anche sulle proposte alla carta e alla fine, a malincuore, scelgo. Compongo il mio personale menu cercando di non tradire la filosofia che dalle proposte traspare e pure prepotentemente.
Come prepotente e senza misure è l’ouverture della serata: una “zuppetta di latte di cocco e zenzero” corroborata da spezie orientali, in cui una superba ostrica tsarkaya, un ricciolo di polipo e crostini di pane, insieme, m’introducono felicemente in un fantastico viaggio che, come previsto, appare già straordinario.
All’antipasto, “cappesante in crosta di pistacchi con guanciale croccante, salsina al lemongrass e asparagi”, la previsione si fa certezza: la chef, Cristina Bowerman, è una tosta e sa perfettamente dove andare a parare, già da questa proposta con cui tanti suoi colleghi si esibiscono in inutili scempiaggini. La delicatezza della cappasanta, enfatizzata dalla dolcezza del pistacchio, cozza piacevolmente con la mascolinità del guanciale e tutto si ricompone poi armoniosamente grazie alla soavità del lemongrass e alla spiccata mineralità degli asparagi.
Sospeso tra eccitazione e aspettative, l’indubbia competenza e squisita ospitalità del sommelier mi fanno planare sul velluto rubino di un Meczan 2008 di Hofstatter, un Pinot nero in purezza, per schiudere il palato agli “gnocchetti di castagne con zuppetta di frutti di bosco, salsa al ragù di coniglio e scaglie di tartufo nero umbro”, piatto hard-core della serata.
La prima sensazione è quella di aver fatto una scelta molto ardua, il piatto non è di quelli facili, specialmente dopo i sapori accattivanti e ruffiani delle cappesante. Il gusto è spigoloso, i contrasti forti, apparentemente privi di gentilezza e di facile appeal ma l’esito, infine, è intrigante: il clima dark annunciato dagli ingredienti si fa mite quando la loro apparente inconciliabilità si fa invece magma caldo e conciliante, piatto corroborante per climi inclementi, memoria di cucina di casa e di sostanza. Uno sconfinamento ardito della chef nel mondo selvaggio del sottobosco, a denunciare la sua natura determinata che la porta sì a cucinare “adottando” con cura materna noi ospiti, ma al tempo stesso capovolgendo canoni e certezze, in un gioco in cui noi, rapiti e stregati, ci mettiamo anima, e soprattutto corpo, nelle sue mani.
Specialmente al profumo irresistibile del piatto a seguire che, sull’onda di quella precedente, ripropone gusti e retrogusti silvestri ma con aperture fusion e inediti accostamenti: il “filetto di coniglio su salsa al foie gras con polvere di liquirizia, pinoli, prosciutto crudo croccante e spaetzle di zucca” riserva la piccola, femminilissima, sorpresa di una segreta spezia aspersa su petali di rosa che eleva l’apparente dissonanza degli ingredienti a sinfonia sciogliendo rigidità e resistenze.
In questo clima ormai rovente l’attesa della tentazione per eccellenza, il dolce, si fa spasmodica e per stemperare l’eccitazione, la Bowerman mi alletta con un pre-dessert di golosità spiazzante nonostante l’innocente apparenza: una coppa di yoghurt di latte di bufala, con un’ insolita tuile di sesamo a donare corpo alla cremosità del composto e l’ asprezza di frutti di bosco a cozzare di contrasto.
Un match interessante che anticipa e, introduce, infine, al dessert da me scelto per la capitolazione finale, il “soufflè di castagne con salsa al cioccolato amaro”: una golosità pura, senza incertezze, di rotondità avvolgente, di sensualità travolgente. La morbidezza è eterea, la spumosità del cioccolato caldo fuso a cascata lascia senza parole e satura la bocca di pienezza e soddisfazione.
Con questo exploit, da applausi a scena aperta, il miracolo è avvenuto: la crisalide si è trasformata ed è diventata farfalla, radiosa, colorata e spavalda. Le premure e attenzioni ancestrali si sono fatte moderne seduzioni e da mamma e balia premurosa Cristina si è trasformata in amante appassionata.
Glass Hostaria, Vicolo del Cinque 58, Roma
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