a tavola senza nemici
Sedersi a tavola per mangiare è un momento di tregua e, se necessario, di resa. È il momento in cui staccare le cinture di sicurezza, mettere anima e cuore nelle mani di chi abbiamo scelto per nutrirci, abbandonare riserve, sospendere giudizi, predisporsi senza pregiudizi ad accogliere solo bontà e bellezza. Il nemico, a tavola, non può e non deve esistere, e se c’è è cosa buona e giusta firmare un armistizio, trasformare le tensioni in buone vibrazioni, ricondurre il conflitto nei ranghi del buonsenso, della comprensione, della misericordia e della pace. A tavola si devono firmare atti di non belligeranza con sé stessi, con gli altri commensali, con chi si occuperà, nutrendoci, della soddisfazione dei nostri istinti più bassi come delle nostre più alte aspirazioni, perchè di questo siamo fatti. La tavola deve tornare a essere il tempo e il tempio della sincerità, del rispetto di sé e degli altri, dello scambio e della condivisione, il luogo della rigenerazione, della positività e della propositività. A tavola bisogna tornare a stringere legami, a suggellare accordi, a sciogliere antiche ruggini, a incrociare bicchieri, a scambiarsi parole d’amore, a progettare un futuro migliore, a uscire dalla cattività in cui tutto, oggi, concorre a relegarci. A tavola si devono fare le rivoluzioni, non le recensioni.
Così scrivevo su un post su FB qualche tempo fa, riflettendo ad alta voce – com’è mia abitudine – sull’evoluzione del convivio, sul concetto di ristorazione, sulla necessità di rallentare la corsa insensata verso l’affermazione individuale perdendo di vista le esigenze e le potenzialità di chi ci circonda, sull’obbligo del rispetto reciproco tra chi dispensa cibo e chi lo consuma e, soprattutto, tra consumatori stessi.
Le mie tavole felici, quelle senza nemici, del 2017 sono state tante, ma le ho sempre scelte con attenzione. Selezionando, aspettando, valutando con cura chi mi avrebbe garantito gioia, relax e appagamento. Chi le ha officiate sono vecchi e nuovi amici. Quelli che hanno saputo stare al passo con i tempi, scrollandosi di dosso ambizioni, rivalità e sofisticazioni, smettendo finalmente di aggiungere per arrivare all’essenza, al senso vero del proprio lavoro. E quelli che hanno capito da subito, studiando e osservando, viaggiando e facendo la gavetta, guardando ai maestri senza scimmiottarli, che è giunto il tempo dei passi indietro, della riflessione, del down-sizing, della necessità di tornare a lavorare come si dovrebbe: con cura e misura, con perizia e dovizia di mestiere, savoir faire e lungimiranza, senza fretta di bruciare le tappe.
Come ogni anno, per Capodanno, ho scelto dodici piatti rappresentativi di quelle tavole, piatti che per capacità di sintesi, intensità di gusto e comunicazione chiara e decisa dell’identità di chi li ha concepiti, possono essere considerati esempi da emulare e amuleti di buon auspicio per l’anno che sta entrando.
GENNAIO
Sempre defilato nelle retrovie di una provincia avara e amara, Michele Rotondo non ha mai smesso di credere e scommettere nella buona cucina, nel valore dell’accoglienza, nella necessità di rimanere autentici nonostante le sirene delle scappatoie facili. I suoi Calamari alla vaniglia e spinacini su crema di cannellini raccontano la sua dolcezza e le sue passioni meglio di tante inutili parole.
FEBBRAIO
Ex-enfant prodige della cucina pugliese, oggi Felice Sgarra ha limato tanto della sua intemperanza giovanile, del suo volere essere precursore di stili e seguace di tendenze nonostante l’occhio sempre vigile alla sua terra e alle sue tradizioni. I suoi Tubettini con scampi, ceci neri della Murgia e zenzero parlano la lingua della maturità e raccontano di una certezza e di una serenità finalmente raggiunte.
MARZO
Dopo anni di esperienza nel fine dining d’alto bordo, Nicola Popolizio torna nella sua terra, a Matera, per coniugare vecchie e nuove sapienze, per tentare un dialogo tra culture, per trasformare la cucina della memoria in raffinata modernità. I Mezzi paccheri di Benedetto Cavalieri con scampi, la loro bisque, ricotta e pomodorini confit sono il coraggio della pietra lanciata nello stagno dei pregiudizi e delle consuetudini.
APRILE
Artefice di virtuosismi e raffinatezze culinarie mutuate da maestri di gran calibro e rango, Giuseppe Raciti si distingue anche per la capacità di colpire di saper mescolare l’alto e e il basso, il top e e il pop, l’alta cucina e quella popolare con estrema disinvoltura, senza perdere mai di vista l’obiettivo finale. Le sue Focaccine al pomodoro, regine tra gli appetizer di ogni sua performance, sono da dipendenza assoluta.
MAGGIO
Per nulla intimorito dalle suggestioni alte e colte del contesto in cui è stato chiamato a raccontare la sua cucina, Alessandro Mecca, figlio d’arte pronto a mettersi presto e totalmente in gioco seguendo istinto e talento, mette rocambolescamente in tavola classicità e modernità assoluta contaminandole con reminiscenze esotiche. La sua Pancia di maiale, daikon e guacamole è opera d’arte sottratta alle sale espositive della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo.
GIUGNO
Figlio della gavetta nei ristoranti d’albergo e allievo di indimenticati maestri, Elia Russo ha conservato l’arte e l’ha messa da parte, per intrecciarla poi con la memoria, la tradizione e l’amore incondizionato, e corrisposto, per i migliori prodotti dell’Etna. I Tortelli allo zafferano con farcia di faraona, brodo di ginepro, scaglie di tartufo bianchetto siciliano e succo di barbabietola caramellata sono eleganza e sostanza finalmente d’accordo.
LUGLIO
L’Acquasale è la tregua dal caldo delle estati del sud, è rito propiziatorio, è celebrazione del pomodoro all’acme della sua maturità, è sublimazione della cultura della terra e di chi la lavora. Alla tavola di Pietro Zito è l’incipit di ogni percorso gastronomico, è l’ostia consacrata della cucina contadina, il rispetto di una tradizione che da pagana si fa cristiana, è la frugalità della merenda durante il lavoro nei campi che si fa ricchezza condivisa sul desco contemporaneo.
AGOSTO
Ama il mare e dal mare prende ispirazione Emanuele Strigaro, giovane cuoco in trincea in una Calabria avida di rispetto e di riscatto. Un mare rispettato perchè portato a tavola quanto più possibile integro, profumato, appena accarezzato da marinature o lievi cotture per la gioia degli amanti del pesce. Le Seppie sporche con sardella sono il connubio riuscito tra arte e artificio, tra la natura così com’è e quella elaborata con intelligenza e sapienza dall’uomo.
SETTEMBRE
Hanno la solidità delle radici e la potenza rivoluzionaria della creatività i Macaron con marasche e funghi cardoncelli su crema di ricotta, confortante dessert dei giovani Michele Castelli e Virginia Caravita ai fornelli del neonato Dimora Ulmo a Matera, miracolosamente nato una comanda corretta in extremis per mancanza di un ingrediente. Spiazzante ma deciso nella combinazione ferrea di contrasti apparentemente insanabili.
OTTOBRE
Si scrive Devozione ma si legge benedizione. La devozione assoluta di Peppe Guida per la pasta e le sue mille combinazioni possibili è la benedizione che il migliore interprete dell’icona incontrastata della cucina italiana impartisce ai devoti che hanno la fortuna di sedere alle sue tavole. Essenziale, archetipica, emblematica nella sua concentrazione di saperi e sapori, è il rito al quale ognuno di noi dovrebbe partecipare per capire quanto siamo fortunati a essere italiani.
NOVEMBRE
Quello che dovrebbe essere oggi la cucina italiana Francesca Barreca e Marco Baccanelli in arte The Fooders l’hanno capito da tempo, ma anziché pontificare, scrivere trattati o presenziare eventi per diffondere il verbo, hanno fatto militanza nel bello e nel buono della migliore cultura gastronomica regionale italiana con rapide e risolutive divagazioni esotiche. La loro Lingua, salsa verde e uovo sodo merita la medaglia al merito civile per la capacità di alleviare la terrena sofferenza.
DICEMBRE
Il tocco magico, la mano fatata che sa infondere bontà e bellezza alla materia inerte trasformandola in capolavori del gusto è sempre quella di Angelo Sabatelli, l’inquieto e irrequieto padre della cucina pugliese contemporanea. La sua Cicoria e capasanta, dove la modesta cicoria – semplicemente bollita, in insalata stile puntarelle alla romana e in forma di densa e voluttuosa schiuma – sovrasta per profondità e intensità di note il nobile mollusco, è l’ennesimo colpo da maestro a futura memoria.
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