a sud di nessun nord
La tangenziale è un ottovolante, stanotte. Il vuoto pneumatico dopo il caos diurno mi incita a snobbare l’odiato tutor e volare verso la mia ambita meta.
Si chiama Sud, se ne straparla da tempo per l’incongrua location, per il coraggio dei suoi artefici, per la bravura e la simpatia della chef al suo comando, Marianna Vitale. Sta a Quarto, periferia dell’impero napoletano, e per arrivarci, dopo l’allegria della tangenziale alta sulle luci vibranti della città, scendo nel buio di strade senza nome, attraverso l’angustia della cosiddetta Montagna Spaccata e m’infilo in un pertugio di strada tra una parafarmacia e un negozio di elettrodomestici, sempre più scettico, sempre più incredulo.
La luce abbagliante e il bianco assoluto, all’esterno, sciolgono ogni riserva ma è all’ingresso che l’utopia del tele-trasporto si fa realtà: come d’incanto, sono nel più up-to-date dei locali della Grande Mela e il volteggiare del personale di sala, le luci precise e taglienti, il candore di pareti, soffitti e tovagliato, mi travolgono e confondono.
Mi vengono subito in soccorso il sorriso e la gentilezza di Pino Esposito, patron e sommelier, nonché compagno di vita di Marianna, a riportarmi coi piedi in terra e soprattutto con le terga a un comodo ed elegante tavolo in prima fila sulla cucina a vista: l’impressione, prepotente, è di un tempio di modernità, di chiarezza d’intenti, di ampiezza di vedute, concetti concretizzati in carta dove, sorprendentemente, le degustazioni hanno costi eco(nomy)-friendly e sono, per di più, componibili a proprio piacimento senza imposizioni, obblighi e dinieghi .
Assemblo senza fatica antipasto, due primi, secondo e dessert e poi mi affido al sorriso disarmante e alla passione contagiosa della sommelier che mi “inizia” agli autoctoni campani partendo da un Asprinio di Aversa, passando per un enigmatico Fiano 2007 di Joaquin, e approdando infine, in tripla replica, a un fascinoso e irresistibile Vigna della Congregazione 2007 di Villa Diamante, detonatore perfetto dei piatti della serata.
Si parte, scoppiettanti, con la mitica “cheese-cake di baccalà profumato al finocchietto, ricotta infornata, pomodoro confit e ceci”, hit di meritata fama già nella play-list dei piatti del nuovo secolo. Se la forma tradisce una finta modestia, la sostanza urla una geniale intuizione perchè i profumi e i sapori che si scatenano all’assaggio parlano distintamente di territorio, di eccellenza della materia prima, di solare espressività.
Seguono, senza tregua, i primi, dove Marianna spinge l’acceleratore e si concede azzardi: se gli “spaghettoni di Gragnano al quinto quarto di calamaro” risolvono forse con eccessiva delicatezza la sapidità e il carattere accentuato del mollusco, con le “fettucce al capitone, pomodorini e menta” si rappresenta al meglio la ricchezza e la memoria del pranzo di Natale, il calore del sole nel freddo dell’inverno, la moltiplicazione dei gusti all’ennesima potenza partendo da pochi, elementari e disarmanti ingredienti.
Il Vesuvio della serata è però il “calamaro ripieno di patata, provola affumicata e soppressata” con topping di pangrattato dorato e dripping carnevalesco di patata viola, rabarbaro e pomodoro. E’ un piatto di forte impatto visivo, in equilibrio perfetto di consistenze e gusti: niente che prevale, nulla che sottrae, tutto in navigata souplesse. Una Marianna in stato di grazia che dimostra conoscenza approfondita della materia prima, quasi tutta local, e delle sue potenziali e illimitate combinazioni, ma che colpisce anche per la sua apertura mentale, il suo essere in grado di capire cosa deve essere oggi la ristorazione, e cioè un blend sapientemente alternato di contemporaneità e radici, di professionalità e fare scanzonato, tradizione e innovazione, il tutto filtrato attraverso occhi giovani, disincantati e avidi di vita.
Il dessert, alla fine, è la golosità con la G maiuscola: “gelato allo zenzero, crumble di frutta secca e crema inglese al cioccolato”. Una goduria infantile, un concentrato di stimoli a raffica, una roba che non ti stanchi mai e continui a ravanare nel bicchiere anche se palesemente vuoto.
Quando l’estasi glucosica sta per svanire, colpo di scena! Marianna bissa il dessert ed è un colpo basso, una provocazione: proprio mentre cercavo di mettere a tacere i miei sensi di colpa con la menzogna di una cena tutto sommato leggera, zàcchete!, arriva la doppietta a stroncarmi, stendermi, ammutolirmi: la “crostatina meringata calda con cioccolato 70% fondente e ripieno di confettura d’arancia”. Dice che è per il freddo che fuori pizzica e attanaglia. Io dico, invece, che è per la generosità, tutta partenopea, che permea di luminosità la sala e ne amplifica il candore.
Si chiama Sud, ma potrebbe chiamarsi luce.. Ma il sud, si sa, è luce, calore, colore, e quest’oasi non poteva chiamarsi diversamente. E per una volta tanto, per primato di modernità, per capacità seduttiva, per coraggio, determinazione e spavalda incoscienza, a sud di nessun nord.
Sud Ristorante, Via Santi Pietro e Paolo 8, Quarto (NA)
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