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alessandro negrini e fabio pisani: il mestiere del cuoco

| danilo giaffreda

Sono passati più di dieci anni, eppure sembra ieri.

Lei, Stefania Moroni, li chiama  in un momento di grande importanza per Il Luogo di Aimo e Nadia, il ristorante di famiglia, un momento di transizione in cui serve affiancare in cucina i suoi già celebri genitori  per dare slancio e continuità a un capitolo importante della storia della ristorazione italiana. In loro ha riconosciuto affinità e sensibilità, le giuste capacità e, soprattutto, una comunanza di obiettivi.

Loro, Alessandro e Fabio, si sono conosciuti alcuni anni prima al Pescatore di Canneto sull’Oglio, dai Santini, e oltre alla cucina hanno condiviso da subito un’amicizia importante, di quelle che nascono una volta nella vita e ci si sintonizza da subito.

Oltre a essere entrambi giovanissimi, hanno la stessa serietà, lo stesso approccio professionale, la stessa voglia di fare un certo tipo di cucina.

Quando qualcuno chiede cosa significhi per loro quel mestiere, uno dice che, prima di impararlo, bisogna essere convinti di non voler fare altro e avere le doti necessarie per poterlo affrontare e sostenere. L’altro confessa che a spingerlo in quella direzione ci sono state la curiosità e il fascino del viaggio, l’idea di lavorare fuori, lontano, per conoscere altre culture e altre realtà.

Per entrambi, dietro le  rispettive scelte, c’è stata la passione, la voglia della sfida quotidiana pervasa dalla passione, dove per sfida intendevano – e ancora oggi intendono – la tensione verso la crescita personale e la realizzazione. Una tensione governata sempre dall’entusiasmo, dalla serenità, dalla predisposizione che hanno, per natura, a generare positività esorcizzando le paure e risolvendo i problemi.

E’ per questo, per queste affinità professionali, per questa loro comune capacità di affrontare le sfide e risolverle, che non esitano ad accettare l’invito a pranzo con cui Aimo, che ha già conosciuto e lavorato con Alessandro apprezzandone le capacità e la facilità di apprendimento, deve far capitolare Fabio facendogli assaggiare la sua cucina, quella cucina dove, se accettano, dovranno mettere presto le mani raccogliendo un testimone impegnativo e totalizzante.

Dopo che le loro strade si sono separate, rincontrarsi in Via Montecuccoli, alla vigilia di una nuova, importante avventura un po’ li spaventa. Aimo ha deciso di fare assaggiare a Fabio tre suoi piatti storici: l’entrecote al giusto rosa  (rivisitazione della cotoletta nel burro chiarificato), “pane e pomodoro” e gli ormai mitici spaghetti al cipollotto.

E’ l’emozione ciò che cercano. E quella trovano nei piatti. Fuori, dopo, ancora increduli, si dicono che quello è il posto giusto per loro. Vogliono usare quei prodotti con cui Aimo ha cucinato, vogliono arrivare a capire come trattarli per tirarne fuori il meglio, vogliono iniziare il viaggio che li condurrà a quello stesso livello di rispetto verso un mestiere che condividono e amano.

Aimo ha testato decine e decine di quei prodotti nel corso degli anni, ha applicato il suo istinto nello sfruttare al meglio le loro interazioni, nello scoprirne i migliori abbinamenti fisici e mentali, nell’elaborare i doverosi rimandi a culture e territori, e adesso intuisce in Alessandro e Fabio i perfetti interlocutori e discepoli perché quell’istinto possa evolversi e dialogare con un futuro che incalza e chiede spazio.

“Quando abbiamo accettato quella sfida, abbiamo pensato che al Luogo c’erano le basi, le fondamenta per costruire ciò che volevamo essere e fare, senza compromessi e con assoluta dedizione: grande materia prima, forza, umanità, generosità e la giusta intelligenza di condividere il sapere di quel mestiere che ci accomunava.”

Fabio ha intuito tutto al primo assaggio. Folgorante. “Questa è la cucina che voglio fare”, bisbiglia al suo amico con gli occhi che gli brillano.

“Abbiamo avuto la fortuna di trovare un maestro che sa guardare, toccare e trasmettere, un maestro che tutti i giovani cuochi vorrebbero e dovrebbero avere per la loro gavetta. Mentre ci parlava, ci guardava e preparava il pomodoro, per esempio, ci preparava a ricevere quel gusto, quel sapore, ce ne anticipava il piacere, in una sorta di rito iniziatico che ci entusiasmava e affascinava.”

Poi, come nei migliori sodalizi, iniziano gli attriti. Quelli fisiologici, inevitabili, necessari a capire e capirsi. Da una parte ci sono le esperienze preziose che loro hanno urgenza di mettere al più presto a frutto e in campo. Dall’altra, Aimo,  che non ha più certamente l’entusiasmo fisico e mentale di una volta e ha bisogno di far prendere in mano la cucina con la sua stessa filosofia e la sua linea di pensiero, frena però molto sul tecnicismo.

“Noi volevamo applicare un metodo, la tecnica acquisita nelle grandi cucine internazionali, mentre lui, che aveva avuto la fortuna di aver conosciuto sapori autentici come quello dell’uovo della gallina di casa, del coniglio allevato nel gabbione, dell’insalata dell’orto, tendeva a rimanere fedele a un’idea di cucina di casa “affettiva”, basata tutta sull’istinto, sulla sensibilità, sul gusto e la sua memoria, sulla freschezza assoluta del prodotto, ma – per contro – senza regole e quindi difficilmente replicabile da altri.”

Poi la pacificazione. L’equilibrio e la serenità che dovrebbero essere alla base di ogni cucina. Ognuno deve contribuire con il suo know-how e la sua sensibilità. Fabio porta la tecnica e la sua cultura, tutta francese, nel trattare al meglio le carni esaltandone la prelibatezza. Alessandro è e rimarrà quello delle invenzioni, della foga creativa, del gesto eclatante sempre sostenuti dall’equilibrio e dal buonsenso.

“Aimo e Nadia ci hanno accompagnato passo dopo passo abituandoci al dialogo e insegnandoci la cultura del mercato, dove all’inizio andavamo anche tre volte alla settimana a conoscere i fornitori e i prodotti; l’amore per le cotture senza fretta, diverse e appropriate ai diversi ingredienti; la maestria nell’equilibrare i sapori; il coraggio di osare abbinamenti apparentemente semplici ma complessi e ricchi nel risultato finale; il rispetto per la cultura gastronomica italiana e la sua storia; la conoscenza dei piatti che hanno fatto la storia del Luogo e su cui, nel tempo, abbiamo lavorato innovando e codificando in stretta collaborazione anche con Stefania, l’artefice dell’incontro-scontro con una storia che ha attraversato decenni ma ha mantenuto intatte intuizioni già innovative ai tempi degli esordi.”

“This must be the place” direbbero oggi, se fossero di nuovo fuori dal Luogo, sul marciapiede di Via Montecuccoli, decidendo del loro futuro.

Le espressioni cambiano, le mode pure, ma la loro idea era e rimane quella di proiettare quella cucina, perfetta ai loro occhi e al loro palato, verso l’internazionalità, dandole un metodo, affiancando le nuove tecniche alle vecchie, confrontandosi con la modernità  e non con le contaminazioni che portano da tutt’altra parte e distraggono.

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