anche a milano
Non ha le phisique du role, Matteo Stefani. Non è cool, non è hipster, non esibisce tatuaggi su muscoli guizzanti, non ti avvolge e stordisce con le parole, non vanta primati nello scintillante mondo del food-system. Lascia sul tavolo dei simpatici origami che con un gesto partoriscono il menu e un mazzo di carte che – scoprirò immediatamente dopo – è la carta dei vini e scivola via in attesa che arrivi il mio compagno di merenda. Eppure il suo regno, l’Anche Ristorante, una scatola di ferro e vetro dentro l’Anche Bar, è di bellezza e modernità disarmante, glam perfetto e rarefatto di cemento corten e legno grezzo sui tavoli, lampade minimali a picco sui piatti e una luce naturale che dalle vetrate si spande liquida su tutto come in un quadro di Vermeeer.
Il futuro fatto presente in un quartiere, l’Isola, ad alta densità ricreativa e ristorativa a due passi dalle vette mozzafiato della città che sale, la Milano futuristica di Porta Nuova. Insomma, le premesse per tirarsela assai ci sono tutte. Invece lui è sciolto, appagato, rilassato, soddisfatto della sua creatura, pieno di progetti in itinere tra cui una panetteria – pasticceria di prossima apertura in un locale adiacente e – last but not least – un figliolo di recentissimi natali.
Mi godo ancora un poco la luce il silenzio e il vuoto, poi in un niente la scatola si satura. La formula piace. Quello che si mangia pure. E piace ancora di più che lo si possa fare, ininterrottamente, da mezzogiorno alle undici senza l’ansia della chiusura della cucina. Sul menu, essenziale ma eclettico come si conviene oggigiorno, stampato su un A4 come un vecchio ciclostile, trovi la cotoletta oversize di maiale accanto a poche ma centrate proposte veg, il pollo yakitori e i crostoni con stracciatella e alici, i paccheri con ragù di cervo e i canederli con barbabietola formaggio e cioccolato, tutto con tanto di scrupolose indicazioni sugli ingredienti utilizzati a scanso di fraintendimenti.
Non abbiamo tanta fame io e il mio ospite: dalla virtuale amicizia “social” ci siamo ritrovati in un niente a conversare fittamente su comunicazione, marketing e social engagement manco fossimo compagni dai tempi del liceo. La scelta, condivisa, cade su una imperfettibile tartara di chianina targata Simone Fracassi, gustosamente condita e impreziosita da germogli e misticanza, accompagnata da un Gutturnio fermo dei Colli Piacentini. Sul dessert si glissa stoicamente, nonostante le tentazioni, come prevedibile, non manchino.
Solo un assaggio, insomma, ma sufficiente a scatenare la voglia di tornare presto unita alla certezza di rivedersi tra amici. Anche bar, dicevamo. Anche ristorante. E anche social club, a quanto pare.
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