apulians do eat better
Inutile raccontarsela. E’ vero che quando si parla di Puglia il pensiero va subito all’azzurro dei suoi mari, ai borghi candidi che non fanno rimpiangere le isole greche, alle chiese romaniche di austera e commovente bellezza, alle masserie sentinelle solitarie nella campagna ipnotizzata dalle cicale, ai filari di Negramaro e Primitivo che si perdono in prospettiva nel fuoco del cielo di agosto, alla geometria arcaica dei muretti a secco, alla magia mai completamente svelata dei trulli, alle distese infinite di ulivi secolari, ma è quando ci si accomoda a una delle sue generose tavole o quando si scoprono le sue fiere, le sagre, le aziende agricole, le cantine, i forni, i caseifici, le pasticcerie, i mercati del pesce, che tutto il resto improvvisamente passa in secondo piano per svelare quella che è la vera, inestimabile ricchezza della mia terra: un giacimento incommensurabile di prodotti enogastronomici fantastici, di frutti di terra e mare baciati dagli dei, di artigiani sapienti che lontano da clamore e celebrità trasformano questi frutti in autentiche delizie sempre fonte di stupore e piacere.
Devono aver pensato sicuramente a questo Rosalia Chiarappa, Alessandra Dall’Olmo, Mara Giorgi e Francesca De Leonardis quando, per festeggiare il primo compleanno del loro Apulia Magazine, la rivista che della Puglia di eccellenza e della sua promozione ha fatto il suo focus, hanno deciso di affidare le sorti della serata nelle mani – è proprio il caso di dire – di nove tra i migliori chef e ristoratori pugliesi, noti e meno noti, che delle infinite interpretazioni dei prodotti della loro terra hanno fatto la loro cifra e la loro forza.
Il mediatico e instancabile Felice Sgarra dell’Umami di Andria; l’eclettico e talentuoso Angelo Sabatelli della Masseria Spina di Monopoli; il sorridente e accomodante Antonello Magistà del Pashà di Conversano; il telegenico e premuroso Gegè Mangano de Li Jalantuùmene di Monte Sant’Angelo; l’affabulatore nonché ubiquo promoter della cucina pugliese Peppe Zullo dell’omonimo ristorante di Orsara di Puglia; il giovane e ambizioso Mario Musci del patinato Gallo Restaurant di Trani; il compassato Riccardo Bàrbera bravo e ammirato patron della bellissima Masseria Bàrbera di Minervino Murge; il navigato e impavido Francesco Nacci del Relais La Fontanina e del neonato e già promettente Botrus di Ceglie Messapico e, infine, il mite e meticoloso Gaetano Servidio del Menelao a Santa Chiara di Turi, hanno allora imbastito, in assoluta autonomia, chi più arditamente chi con pacatezza, in armonia e con spirito di collaborazione, un racconto sincero, singolare e convincente della loro terra.
A parte la divagazione esotica delle chips e creme multicolor di Angelo Sabatelli che hanno elettrizzato gli invitati in truppe fin troppo sparse intorno ai buffet, il resto è stata una rutilante declinazione del territorio in viaggio tra extravergini baresi e garganici, pomodori “fiaschetto” e “regina”, mozzarelle di Gioia del Colle e burrate di Andria, ricotte di masseria, capocolli di Martina Franca, focacce di grano arso, fave di Carpino, cipolle di Acquaviva, agrumi tardivi del Gargano, mosti cotti di uva e di fichi e ogni altra delizia più o meno local, più o meno di nicchia, che ogni chef tirava fuori dal proprio cappello magico per diffondere e affermare la propria personalissima idea di Puglia.
Paradigmatica e risolutiva in questo senso è stata la proposta di Felice Sgarra che stupiva per la sua imbarazzante semplicità. La sovrapposizione minimal di un cracker di grano arso, un ricciolo di ricotta mantecata con olio e sale e un pomodoro “galatino” candito aveva, in bocca, la forza dirompente di uno slogan pubblicitario. Tutta qui la Puglia? Tutta qui, vi pare poco?
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