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quelli che cucinano

| danilo giaffreda

photo Steven Klein

Quelli che cucinano hanno sempre un pentolone di brodo che sobbolle sul fuoco. Quelli che cucinano vanno al mercato, fanno la spesa, conoscono tutti i produttori e i fornitori di ciò che comprano. Quelli che cucinano sanno eviscerare, pulire, sezionare, tagliare, sfilettare pesci, carni e verdure. Quelli che cucinano panificano tutti i santi giorni, sperimentando lieviti, farine e cotture. Quelli che cucinano dominano il fuoco, hanno cicatrici su braccia e mani, capiscono senza guardare termometri e timer quando i forni sono pronti per accogliere leccarde e teglie. Quelli che cucinano sanno quali sono le cotture migliori per ogni prodotto, sanno quando rifarsi alla tradizione oppure affidarsi alla tecnologia, hanno la pazienza di aspettare e l’intelligenza per correre. Quelli che cucinano sanno come comandare le brigate, sanno urlare ma anche accarezzare, offendere ma anche chiedere scusa, insegnare ma anche ascoltare. Quelli che cucinano confondono spesso la famiglia con la brigata e la brigata con la famiglia. Quelli che cucinano escono in sala e si rilassano solo quando l’ultima comanda è stata servita. Quelli che cucinano hanno dimenticato i tramonti, si addormentano all’alba, si accorgono delle stelle solo a notte fonda quando tutto il mondo dorme. Quelli che cucinano dormono sempre troppo poco, riposano male, non si curano e rimandano sempre tutto. Quelli che cucinano si lamentano sempre ma quando entrano nelle loro cucine dimenticano tutto e sorridono ai mestoli, alle pentole e alle padelle, parlano con le cipolle e suonano con i coltelli. Quelli che cucinano ripetono ogni giorno gli stessi gesti, molti li perfezionano, alcuni li sublimano. Quelli che cucinano sono curiosi delle cucine dei colleghi, ci vanno a mangiare, si scambiano informazioni, dritte e pettegolezzi. Quelli che cucinano non rispondono mai alle mail, arrivano sempre in ritardo sui social, comunicano l’indispensabile con i messaggi vocali di whatsapp. Quelli che cucinano ridono di quelli che fanno finta di cucinare, sorridono di quelli che si fanno chiamare chef e non hanno una brigata, deridono quelli che invece di stare in trincea all’inferno passano da un intervista a un talk show, da un concorso a una lezione, dai consigli per gli acquisti a quelli per uscire dalla crisi, dalle considerazioni su come va il mondo alla certezza di come dovrebbe andare. Quelli che cucinano sono quelli che, in quest’anno che sta finalmente terminando, hanno saputo sfamarmi, incuriosirmi, stupirmi, coccolarmi, curarmi, sostenermi, farmi scoprire nuovi sapori e riscoprire antichi profumi, farmi sognare e, soprattutto, divertire.

A dodici di loro, scelti senza alcuna intenzione di stilare classifiche di merito, dedico come ogni anno altrettanti mesi, quelli in cui ho avuto il piacere di assaggiare i loro piatti e goderne, come dovrebbe essere sempre e comunque ogni qualvolta decidiamo – chi con leggerezza e chi con sacrificio, chi per lavoro e chi per puro piacere, chi in beata solitudine e chi in chiassosa compagnia – di rinunciare all’ordinario in cerca dello straordinario.

GENNAIO

Alla Masseria del Parco – forte degli anni trascorsi nella scuderia di quel tempio incontrastato dell’ospitalità e del buongusto che è il ristorante Da Vittorio a Bergamo – Mimmo Ragone macina coperti che è una meraviglia, ma quando rallenta ritmo e respiro e placa l’ansia da prestazione, tira fuori piccoli capolavori senza tempo come questa Ombrina alla mediterranea, omaggio semplice ma intenso alla sua terra, la Puglia, dove ha scelto coraggiosamente di tornare.

FEBBRAIO

Cento ne pensa, mille ne fa. E a quanto pare gli riescono pure molto bene. La cucina anarchica di Antonio Bufi al rinnovato ristorante Le Giare di Bari non conosce confini, dogmi o pregiudizi, ma quando l’assaggi tutto quadra e diventa immediatamente familiare, confortevole e spesso divertente. I suoi spaghetti aglio, olio, anemoni di mare e sakè, capolavoro di intuizione e tecnica, travolgono riserve e resistenze. E dimostrano che, se vuoi, il paese del Sol Levante può essere anche quello dove vivi.

MARZO

Ha portato eleganza e rigore nelle navate dell’ex-chiesa di Sant’Antuono, suggestivo scenario del ristorante Le Lampare al Fortino a Trani. Campano più pugliese dei pugliesi, Raffaele Casale ne governa da meno di un anno i fuochi, svelando con modestia e misura un percorso fatto di impegno, passione, ricerca e curiosità. La stessa che desta la sua pasta maritata, cicerchie, scorfano e colatura di alici, essenziale e déjà vu all’apparenza ma opulenta e sorprendente dalla prima all’ultima cucchiaiata.

APRILE

Giovane, giovanissima, Isabella Potì – Isa Osbourne per i social addicted – la puoi vedere all’opera fuori dalle vetrine del ristorante Bros a Lecce. Cresciuta, in fretta, sotto le ali protettive di grandi chef internazionali, oggi è l’anima dolce del primo, vero, laboratorio gourmet salentino. Il suo soufflè alla barbabietola accompagnato da un gelato al latte di pecora e cumino è cuore palpitante di amore per il meraviglioso mondo della cucina.

 MAGGIO

Dice che prima che una ragazza della sua brigata glielo facesse assaggiare, intrigandolo, l’aveva provato una sola volta e neanche gli era piaciuto. Poi l’illuminazione e, come sempre nelle mani di Angelo Sabatelli, un altro dei piatti icona della cucina pugliese di tradizione perde connotati e coordinate e diventa altro da sè. Il suo pancotto di verdure e crema di fagioli al miso esce di prepotenza dai ricettari regionali e sconfina di diritto nella modernità.

GIUGNO

Il suo ristorante sta alla periferia dell’impero, ma la sua cucina pur attingendo dai boschi, dalle campagne e dai mari di Calabria parla una lingua internazionale e viaggia a ritmi contemporanei. La stroncatura (pasta di antica origine  realizzata con i residui di farina e crusca della molitura del grano) con cipolla di tropea, la sua cenere e sardella di Antonio Biafora del Biafora Hotel di San Giovanni in Fiore è pietra miliare illuminata a led.

LUGLIO

I pescatori, i contadini, gli allevatori e i casari, quelli veri, nel tempio più esclusivo e ricercato dell’ospitalità pugliese. La sfida più coraggiosa dell’anno è merito e vanto di Domingo Schingaro, executive chef al Borgo Egnazia di Savelletri, che per il ristorante gourmet all’interno della struttura non ha esitato: cucina autenticamente pugliese ma coniugata al futuro. Come la battuta di carne cruda podolica, cozze pelose, ricci di mare e pomodoro regina di Torre Canne. Passaporto pugliese per viaggi intorno al mondo.

AGOSTO

Mezzi panini da una parte. Cucina cucinata dall’altra. In mezzo ci sta la Murgia, ignota ai più, cuore selvaggio di Puglia tutto ancora da scoprire e amare. Per cominciare, basta entrare da Mezza pagnotta, a Ruvo, e chiedere di Vincenzo Montaruli, cuoco sui generis, formazione eclettica dalla Val D’aosta alla Sardegna e rientro a casa a praticare l’arte messa da parte. La sua millefoglie di buccia di fico d’india e melanzana rossa è la parola restituita alla terra.

SETTEMBRE

Una parola, un concetto. Chiaro, esemplare, definitivo. Spazio, a Milano, è ristorazione autentica, senza filtri e mediazioni. Accoglienza premurosa. Servizio attento e sorridente. Ambienti luminosi, moderni, essenziali. E una cucina superlativa – affidata alla solidità di mano e di pensiero di Gaia Giordano – che non tradisce mai l’apparenza. Come il cremoso al frutto della passione, caramello amaro, liquirizia croccante e panna, dessert tanto bello quanto buono. E nostalgicamente memorabile.

OTTOBRE

Mezzo olandese e mezzo italiano, somaticamente nordico ma con il Mediterraneo nel cuore, Eugenio Boer è anima, mente e mani di Essenza, a Milano, una piccola grande cucina dove i viaggi, i ricordi e le esperienze diventano, rielaborate, materia viva, spunti di riflessione, modernità assoluta. Il suo nasello bollito, indivia belga, funghi porcini e salsa tartara è memoria scansionata e photoshoppata per nostalgici baby boomers e millenials in cerca d’identità.

NOVEMBRE

A Le Macàre si torna come si torna all’amore, e forse Capossela si riferiva a loro. Perchè qui, oltre a coccolare, si fa cultura. Dell’entroterra, della lentezza e della cucina vera.  Quella delle preparazioni del giorno prima, della scelta maniacale degli ingredienti, dei gesti antichi replicati senza l’ansia del nuovo a tutti i costi. L’orata impanata con briciole di taralli e ripiena di olive e capperi è mare e terra secondo Daniela Montinaro, macàra in cucina e saggezza spiccia nella vita.

DICEMBRE

Il Pashà, il suo regno, cambia indirizzo, cambia pelle, cambia immagine ma lei rimane ostinatamente e – fortunatamente – Mamma Maria. Colei che ha sdoganato la cucina di casa pugliese vestendola di seta e paillettes quando molti, ancora, si avvinghiavano alla tradizione come unica strada da percorrere. Il pollo, paté dei suoi fegatini al tartufo e panna acida di Maria Cicorella è ciò che non dovrebbe mai mancare in un vero ristorante.

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