quintessenza: fratelli di puglia
L’abito è perfetto, di quelli che cadono a pennello e sembrano cuciti addosso.
Gentilezza, sorrisi e l’effetto anti-stress degli ambienti freschi di restyling ti trascinano subito in un indefinibile stato di benessere e alleviano di colpo il peso dei pensieri e degli affanni predisponendoti al meglio.
E che il meglio abbia preso fissa dimora tra le candide tovaglie e stoviglie su cui posi attonito lo sguardo, lo capisci subito sfogliando la carta. Chiara, perentoria, ispirata certamente ad esempi più grandi e importanti, ma “parva sed apta mihi”, come dicevano i latini: discrete e intelligenti incursioni territoriali, spiegate a voce con garbo, se necessario, in una sorta di rito iniziatico alle gioie che verranno.
Sta proprio in questo trailer, attentamente studiato ma disinvolto e informale al tempo stesso, gran parte del merito della grandezza e della precoce fortuna dei fratelli Di Gennaro – quattro per l’esattezza, ora che anche il più giovane è arrivato a dare man forte in cucina – artefici, sostenitori e instancabili animatori del miracolo Quintessenza, piccola ma preziosa perla di buongusto e accoglienza appena fuori dal fulgore di pietra del centro storico di Trani, che in soli quattro anni è riuscita a bruciare tappe, far capitolare riserve, arruolare inimmaginabili proseliti.
Nessuno stereotipo marinaro, nessuna tavolozza di crudi di mare più o meno ben interpretati, nessuna concessione al successo facile, a strade già battute e all’ammiccamento, ma un lucido e autonomo percorso tra i sapori autentici dell’aurea riserva regionale e divagazioni esotiche, con abbinamenti raffinati, spesso arditi, figli sempre di sincere passioni e predilezioni.
Di famiglia l’olio, identitario trait d’union tra le varie proposte, profumato e denso di suggestioni. Di orti vicini e conosciuti le verdure e la frutta. Dell’Adriatico e dello Jonio il pesce, spesso povero, per sfidarsi e sfidare il loop della solita, scontata, mezza dozzina di proposte ittiche.
Parrebbe il ritratto della perfezione, insomma. Senza scosse e sussulti. Senza macchie o sbavature. Quattro mostri di bravura, quattro enfant prodige che hanno saltato l’età dell’innocenza e dei giochi per salire al più presto sull’alta velocità in direzione del successo.
Non è così, fortunatamente. Perché dietro il rigore c’è ancora il rossore. Perché dietro la spiegazione professionale e competente delle proposte fa capolino un remoto e quasi impercettibile tremito nella voce. Perché non tutti i piatti sono perfetti anche se tutti tendono, comunque, alla perfezione. Perché l’intimo e malcelato darsi di gomito e sostenersi a vicenda tra fratelli è segno di quella necessaria vulnerabilità che te li rende subito empatici e affini e non, come spesso accade, incomprensibili alieni da togliersi di torno il più velocemente possibile.
E’ così che la scelta del vino è scelta rilassata, meditata e condivisa. E’ così che la descrizione dei piatti non è fredda e distaccata elencazione di ingredienti ma racconto, passione, orgoglio dichiarato per chi, in cucina, contribuisce con determinazione al successo della squadra. E’ così che il buonumore diventa subito virale, il clima solidale e l’esperienza, quell’esperienza che noi tutti cerchiamo disperatamente ogni qualvolta varchiamo la soglia di un ristorante, finalmente unica e ispirata. E’ così che dopo una sfilza di piatti sempre ben eseguiti e presentati, di sapori più volte centrati ma talvolta solo sfiorati, di tributi alla tradizione ma anche doverosi tradimenti, di felici intuizioni e di perdonabili velleità giovanili, salta fuori il capolavoro, il coup de théâtre, l’affondo.
Una volta sono i tortelli ripieni di ricotta di capra con gamberi rossi di Gallipoli e una bisque al Moscato di Trani. Un’altra lo sgombro con gazpacho verde e mozzarella di bufala. Un’altra ancora “la colazione del contadino”, un semplice ma raffinato dessert in cui pochi e poveri ingredienti della tradizione si trasformano in un’avvolgente esperienza sinestetica.
L’apice indiscusso restano, però, per ora, i “torcinelli” di Michele Sabatino, sopraffino allevatore e macellaio in quel di Apricena, in un singolare connubio ready made con i gamberi rossi di Gallipoli crudi e il vincotto di fichi strategicamente fuso con gli umori delle teste dei crostacei. Una piccola, geniale intuizione per un piatto a futura memoria.
Non è un caso che questi ragazzi abbiano deciso di chiamarsi Quintessenza.
Quintessenza Ristorante
Via Nigrò, 37 – Trani 76125 (BT)
Telefono: +39 0883 880948
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