re per una notte
Gianluca Biscalchin per Gazzetta Gastronomica
Antonino Cannavacciuolo vorrebbe vivere al Sud. Glielo si legge negli occhi, tristi e dolci. Vorrebbe vivere al Sud per andare al mercato con il suo amico Gennarino, raccogliere le verdure direttamente negli orti di costiera a picco sul mare e uscire in barca a pescare per poi divertirsi in cucina con quello che la sua straordinaria terra sa offrire. Ma vorrebbe anche non lasciare mai Villa Crespi, dove i colori del Mediterraneo si stemperano nei grigi morbidi delle acque lacustri, gli spigoli si smussano, la violenza dei profumi si attenua, i sapori hanno diversi e nuovi registri.
Antonino sa bene, infatti, che questa perenne dicotomia, questo voler andare via e tuttavia rimanere, questa sospensione incantata tra Nord e Sud, tra contrasti apparentemente insanabili, altro non è che la sua cifra, la sua personalità, la sua riconoscibilità, un eclettismo di culture che somiglia tanto alla sua casa, Villa Crespi, sogno moresco, arabesco di pietra, ambiziosa follia incagliata sulle rive di un lago, quello d’Orta, che più nordico e fiabesco non si può.
E questa sua partenza perennemente rimandata cerca di viverla metaforicamente ogni sera attraverso i suoi ospiti a cui augura sempre, non a caso, un buon viaggio e consiglia vivamente, con una delle sue degustazioni più di successo, uno straordinario itinerario da Nord a Sud.
Io, invece, che dal sud arrivo e che al nord non so quando ritornerò, decido di cogliere l’attimo e di tuffarmi nella degustazione chiamata carpe diem, che stasera è particolarmente intrigante.
L’augurio di buon viaggio è una sobria composizione di Scampo, foie gras e salsa all’uva bianca e se il viaggio che sto intraprendendo inizia da cotanto incipit, be’, sarà un viaggio col turbo, almeno a livello di emozioni, già decisamente forti. Il gambero è di tenerezza e dolcezza rare, il foie gras sublime e fondente quanto basta da perderci il senno, l’uva bianca la perfetta liason in cui tutto si confonde per poi ricomporsi, miracolosamente, al palato.
Con lo Spiedino di scampi al lardo di conca con zuppetta di porcini e fasolari, si spengono i motori e si viaggia a vela: il silenzio intorno è assordante, rotto soltanto dalla meraviglia per la bontà e la bellezza degli scampi e la melodica fusione terracquea con gli altri ingredienti, espressione compiuta della capacità dello chef di partire da mondi contrastanti per farli poi combaciare, magicamente.
Intorno, è tutto un sollevare di cloches all’unisono, passi felpati (le cameriere) o militareschi (i camerieri) sul bellissimo parquet intarsiato, nuances di verde sul soffitto riccamente affrescato, sulle pareti decorate, sulle tende sontuose, sulle sedie ultracomode: tutto tende a rendere l’atmosfera regale, esclusiva, straordinaria, a farti sentire, in poche parole, re per una notte.
Con gli Spaghetti di Gragnano con calamaretti spillo in salsa di pane di Fobello Antonino rompe gli indugi, scompone le truppe, fa outing: questo piatto è la sua carta d’identità, il suo proclamarsi figlio legittimo e legittimo erede della mediterraneità, sa di mare, sa di terra, sa di campi di grano e di reti di pescatori, sa di fatica umana e sa di umano orgoglio, sa di elleni che sbarcarono sui nostri lidi a portare l’intelletto ai doni della terra e dell’acqua, altrimenti muti.
E mentre tento di evocare lo spirito dei coloni magnogreci in terra italica con un ammaliante e brioso Fiano Kratos, la sera si fa alta e lieve con il Rombo chiodato su trippette di stoccafisso, crocchetta di finocchi e salsa all’arancia, una delicatezza suprema che dice tanto sulla capacità dello chef di tessere consistenze, profumi e soprattutto temperature per restituire al palato velluti, ricami, arabeschi di sapori.
Con il pre-dessert, Mousse di yoghurt alle fragole, dadolata di gelatina al Porto e tuile croccante al cioccolato è chiaro, lampante, palese che il viaggio di Antonino non è orizzontale ma verticale, che dal basso, dalle basi della cucina si tende verso le vette, che il nord e il sud non sono luoghi geografici ma livelli di aspirazione, tensione verso la perfezione.
Al dessert vero e proprio, infatti, si raggiungono le vette, quelle più alte, dove l’ossigeno dà il capogiro, l’euforia, come quella che si prova a gustare, prima separatamente, poi gradatamente insieme, il Cannolo di cioccolato affumicato, la crema gelata al pepe di Szechuan, la composta di mango: un’esplosione di gusti insoliti, inediti, un rincorrersi a non perdere un atomo della loro esaustiva bontà, accompagnata da un Passito di Pantelleria Le Conche di Terre dei Sesi lontano mille miglia dagli altri passiti panteschi. Sa di cenere, di vulcano, sa di terra nera dell’isola e della prepotenza del suo sole, e non faccio fatica, dunque, a centellinarlo insieme al dessert, senza che uno sovrasti l’altro, rischio che di solito preferisco non correre, non abbinando mai vini dolci ai dessert.
La piccola pasticceria, a fine cena, è un gioco di virtuosismo, di ceselleria fine, di abilità artigianale. Sono piccole, fantasmagoriche esplosioni di gusto, come fuochi d’artificio di una serata un po’ speciale, ma la chicca tra le chicche, è ovviamente – e cosa se no? – la sfogliatella napoletana. La serbo per ultima, insospettendo l’imperfettibile maitre, ma alla fine, dopo aver dato fondo al passito, cedo. E’ croccante fuori, come deve esserlo, è fondente e scioglievole dentro, ma – miracolo! – la croccantezza esteriore cede arrendevolmente in bocca amalgamandosi alla perfezione con il ripieno. E’ l’ultimo piccolo grande capitolo di una notte un po’ speciale. Una notte un po’ regale. Una notte a Villa Crespi.
Villa Crespi,
Via G. Fava 18
28016 Orta San Giulio (NO)
+39 0322 911902
info@villacrespi.it
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