siamo tutti tufi
Gravina in Puglia, stasera, non ha niente di accattivante. Anzi. La pioggia e il buio non restituiscono niente della prepotente bellezza della sua pietra nella luce, della maestosa arcaicità della sue architetture sospese sul baratro della gravina. Nonostante questo, un piccolo drappello di giovani determinati armati di ombrelli, smart-phones e i-pads si snoda per le vie del centro storico, si affaccia su quel baratro, si snoda tra vicoli e “cavati”, attraversa il ponte acquedotto, batte i luoghi delle origini, entra nelle case, ascolta la memoria dei vecchi del paese, condivide pensieri e impressioni e va avanti, così, per chilometri, per ore, senza sentire freddo, senza sentire l’acqua. I loro corpi ascoltano, si permeano di odori, parole, racconti, ricordi, segni e immagini che i vecchi tufi, dopo essersene intrisi per anni, secoli, rilasciano a chi si fa spugna e assorbe, a chi si fa tabula rasa e si fa tatuare sull’epidermide una storia mai abbastanza nota, mai abbastanza posseduta.
A far parte di quel drappello sono cittadini attivi gravinesi, giovani professionisti, tecnici, esperti di comunicazione, studenti universitari che si sono chiamati metaforicamente tufi, come la pietra con cui e sui cui è stata fondata la loro città – duri, resistenti, quindi, ma anche, volendo, porosi, ricettivi, predisposti all’ascolto – e hanno deciso che la storia non la si subisce ma la si costruisce e che, soprattutto, il teatro di quella storia, le nostre città, i nostri habitat, i nostri luoghi, vanno analizzati, scansionati, spellati per essere poi ripensati e rigenerati. Anziché continuare a inveire e polemizzare nell’asfittico circolo chiuso del provincialismo, hanno deciso di passare dal pensiero all’azione e partendo da una serie di coincidenze – alcuni crolli di edifici succedutisi nel centro storico per degrado e incuria e abbandono reiterati nel tempo nell’impotenza e ignoranza dei più – hanno fatto loro questa battaglia e con una serie di flash-mob nelle sedi del potere hanno gridato l’urgenza e l’hanno imposta teatralmente anche a chi ipocritamente quella urgenza, per anni, ha fatto finta di non conoscerla e l’ha negata.
Quelle strade, quei luoghi, quelle tracce di storia scavate nella roccia, sono state ripercorse stasera insieme a un testimonial di eccezione, Carlo Infante, giornalista, critico, esperto di comunicazione, autore di programmi televisivi e radiofonici, che per l’occasione si è avvalso del walk-show – strumento di approccio dinamico e interattivo al mondo circostante in contrapposizione all’immobilità sterile del talk-show – per portare voci, testimonianze, immagini e contributi interdisciplinari in una escursione altrimenti muta. Camminando, allora, le parole di Canio Musacchio, di Giuseppe Di Vittorio, di Friedrich Holderlin, di Robert Walser, suoni d’acqua e videoclip si sono mischiati ai pensieri, ai progetti, ai sogni, agli occhi improvvisamente infantili, ai sensi dilatati, ai sogni non ancora infranti, alla speranza che rigenerare si può e si deve.
Alla sessione finale di questo laboratorio esperienziale, a tarda sera, nell’atrio del Seminario Diocesano, si tenta di raccoglierle, quelle emozioni, si cerca di intrecciare un canovaccio di tweet, hashtag, frammenti di memoria, schegge di pensieri, connessioni mentali e inneschi. Una trama, un tessuto con cui proteggersi per continuare quel cammino lento, inesorabile, caparbio ormai avviato che, come l’acqua che nei secoli ha tracciato solchi per portare la vita dove non esisteva, oggi deve scavare nuove vie che riscattino da un passato buio e ancora troppo ingombrante per ritrovarla.
SUPERURBANO
rigenerazione urbana sostenibile
a cura di: Siamo Tutti Tufi
Seminario Diocesano, Ipogei
Gravina in Puglia (BA)
www.superurbanogravina.it
www.siamotuttitufi.it
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