taormina gourmet: la buona sicilia
Il dilemma, atroce, era: bere o mangiare? Passare in rassegna, e degustare, l’eccellenza enologica siciliana e nazionale o farsi rapire dall’inossidabile e più che mai attuale appeal dei cuochi in azione fuori dalle loro cucine? C’era di che confondersi, onestamente, ma siccome ai cooking-show, oltre a sentire, vedere cucinare e mangiare, si beveva pure, l’indecisione non è durata a lungo.
Mentre poco lontano si celebra il vino in un tripudio di degustazioni, verticali e colti dibattiti, il cotè food della seconda edizione del Taormina Gourmet schiera all’Hotel San Pietro ben quattordici chef per sancire lo stato dell’arte della cucina siciliana e non solo. Un’occasione unica, imperdibile, ancor più perché voluta, pensata e organizzata dal magazine Cronache di Gusto per sfatare il luogo comune del fatale immobilismo meridiano e dimostrare che la vitalità dell’enogastronomia nazionale passa anche – e soprattutto – dal Sud.
Si parte dalla preparazione di un piatto, con tanto di istruzioni step-by-step, ma c’è chi va oltre e disserta sulle nuove frontiere del gusto o su dove va un mondo, quello della ristorazione, che sempre più vira sull’autoreferenzialità perdendo di vista il suo focus vitale: il cliente, le sue nuove esigenze e l’inderogabilità dell’onesta e della chiarezza nei suoi confronti. A governare la scena, con la rara dote del condurre senza troppo apparire, Clara Minissale e Daniela Corso, che con misura e competenza affiancano gli chef in quello che diventa di fatto un laboratorio in progress, con profumi e fumi finalmente non virtuali e l’intreccio intelligente e costruttivo di consigli, considerazioni, opinioni ma anche dubbi, perplessità e osservazioni puntuali da parte di un pubblico attento, motivato e soprattutto preparato.
A scatenare appetiti e dibattiti ci sono meravigliose sirene come il trittico di pesce capone di Christian Busca del Picciolo Etna Golf Resort di Castiglione di Sicilia, l’agnello alla griglia che non c’è di Crescenzo Scotti del Therasia Resort di Vulcano, le minne di Sant’Agata di Andrea Macca del Donna Carmela di Riposto o i ravioli di mais tostato, storione e caviale affumicato del grande Giancarlo Perbellini, ma alcune proposte e relative presentazioni, più di altre, m’incapricciano e si fissano nella memoria.
Fabio Picchi del Cibreo di Firenze, istrionico e plateale, provoca – “Che senso ha mettersi a cucinare quando c’è un signore fuori a sbucciare fichi d’India pronti da mangiare?” – e non cucina. E’ qui per la sua lezione di cucina numero zero. Parla di come certi sapori ti mettono in uno stato di benessere che sconfina per alcuni attimi nell’estasi, disquisisce di masticazioni e salivazioni, spiega i meccanismi di ghiandola pineale e ipofisi. Poi, a tradurre tutto in pratica, arriva l’abbraccio caldo della caponata di Nuccia Criscari dell’Antica Filanda di Capri Leone scelta da Fabio per prendersi l’onere e l’onore della scena.
Peppe Barone, tutor e trainer di tanta della meglio gioventù cuciniera isolana, assistito da un’allieva della sua nuova scuola di enogastronomia e cucina a Ragusa Ibla – la Nosco – riesce dove molti dei suoi colleghi falliscono. Concilia tradizione e tecnica, memoria e attualità, educazione alimentare e gusto in un piatto tanto semplice quanto ricco di sapore e sfumature. La quasi impronunciabile pastratedda di grano russello con zucchina, cozze e calamari arriva dal passato ma è un nuovo sputnik lanciato nello spazio.
Andrea Graziano, anima e animatore di due icone della nuova ristorazione catanese – il Sale Art Cafè e il più recente Fud – porta fumo, clamore e stupore in sala avvalendosi del suo braccio armato Ricky Licandro e del mastro macellaio Massimiliano Castro. La sua idea totale e totalizzante di cucina è tutta racchiusa nella golosa e peccaminosa stratificazione verticale del Roo Shek. Mortadella e provola delle Madonie, tataki di melanzana, tartare di asino ragusano e salsa di ciliegini canditi racchiusi in un panino morbido con semi di zucca e sesamo scuotono non pochi palati. Anche i più smaliziati.
Si chiama Gurmè il nuovo progetto in progress che Carmelo Floridia racconta con il suo baccalà in vasocottura. Un grande lavoro di ricerca, una tecnica già molto diffusa tra i grandi chef spagnoli e nordeuropei per preservare l’integrità dei sapori e, su tutto, la voglia di fare impresa in controcorrente con il mood recessivo dominante. In barba al malcelato scetticismo in sala, la proposta è di grande e inaspettato equilibrio. Il bello è che presto la potremo anche comprare e consumare tranquillamente a casa. La Sicilia in un barattolo. Di vetro e riciclabile. What else?
Un fulmine a ciel sereno Andrea Ribaldone, oggi ai Due Buoi di Alessandria dopo varie e belle esperienze in giro per il mondo. Ne ha per tutti e senza peli sulla lingua. Tanta coraggiosa verità e una ventata di freschezza per ridefinire il ruolo del cuoco – erudito, innanzitutto, ma anche un po’ pescatore, un po’ macellaio e un po’ contadino – e il futuro del gusto, che o è umami o non è. A dimostrarcelo c’è la sua composta di frutta e verdura. Carota, sedano, ananas, cipolla e semi di basilico appassionatamente insieme a un sorbetto di basilico e gelato allo yoghurt per un dessert esplosivo. E memorabile.
Dopo tanto testosterone, ad addolcire clima e toni arrivano la grazia, la determinazione e la convincente didattica di Caterina Ceraudo. Chef presso il Dattilo, ristorante dell’azienda di famiglia a Strongoli, conserva integro l’imprimatur di Niko Romito sulla sua formazione. Una tecnica che deve condurre all’essenza, la ricerca dell’assolutezza del gusto, la complessa semplicità degli abbinamenti. Il cerchio quadra nei suoi gnocchi di ricotta, peperoni e spinaci. Sapori limpidi e incisivi, il rigore dell’impiattamento, la consapevolezza di essere sulla giusta strada.
Citato da Ribaldone come uno dei due unici top chef del Sud insieme a Pino Cuttaia, Angelo Sabatelli ha il difficile e doppio compito di non smentire questa investitura e raccontare, riassumendola, la sua Puglia in evoluzione. Per risolverlo, azzarda ben due proposte, apparentemente in contrasto ma di fatto due facce di una stessa medaglia. Che ha nella tecnica, nello stile e nella capacità di restituire, sublimandoli, sapori familiari, la sua cifra. Il latte di mandorla con briciole di tarallo di grano arso e uova di salmone e la cipolla in agrodolce con “canapa” di maiale (una lavorazione lunga e complessa con un esito sorprendente) prima ammutoliscono e spiazzano e poi seducono. Definitivamente.
Cucinare e bere, bene, al sud, si può e si deve.
18, 19 e 20 ottobre 2014
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