todo modo
Anche se la morbidezza dell’accento tonico allude forse alle curve del barocco neretino di là dai vetri, la geometria pura e dura del logo e del luogo azzerano subito ogni possibile equivoco.
Il Modò è l’antitesi dell’opulenza del carparo plasmato che arricchisce l’architettura e l’urbanistica di Nardò, è una scatola minimalista di colori acidi e coraggiosi che si apre, attraverso grandi e luminose vetrate, su una delle strette vie del centro storico, è la scelta coraggiosa di una giovane coppia che decide di lasciare le bellezze e le certezze di Firenze per dimostrare, costruendo e combattendo, che un’altra Puglia è possibile.
Maria Rosaria De Benedittis e Leonardo Marcu, servizio discreto e sorridente in sala lei, silenzioso e solitario chef in cucina lui, di certo non hanno né l’ambizione di rivoluzionare la ristorazione pugliese né la snervante ansia di inseguire stelle e punteggi ormai anacronistici, ma puntano felicemente a fare cultura del territorio, in un contesto dove la cultura si comunica poco e male, e cultura del piacere a tavola, in una società, come quella salentina, ancora poco incline ai piaceri perché tutta involuta sul sacrificio.
Ecco allora la performance dell’attore di teatro Ippolito Chiarello che intrattiene con intelligenza e contaminazioni stimolanti, la degustazione dell’olio salentino del Frantoio Scupola, quella dei vini di Schola Sarmenti, le birre artigianali leccesi B94 introdotte e raccontate dal poliedrico e sempre in fermento Pino De Luca, le serate con la condotta Slow Food Neretum e, perché no, anche l’impegno civile di Maria Rosaria per la pedonalizzazione del centro storico, la lotta contro il suo oblìo e addirittura la sua attività teatrale per e con i bambini.
Tutto si mescola, e tutto fa cultura; la cultura del buono e del sano e del corretto circola più facilmente se abbinata al piacere della tavola, bisogna assaggiare per capire, bisogna confrontarsi per imparare, bisogna far circolare le idee e le informazioni, bisogna appropriarsi del territorio per difenderlo dalle contaminazioni e dalle sofisticazioni per restituirlo intatto e pieno di sapore e colore a un turismo dell’ultima ora sempre più distratto e inconsapevole.
Le mie frequentazioni al Modò sono spesso meridiane, fugaci e inframmezzate a intense giornate di lavoro in terra salentina, ma questo non mi ha impedito oggi, nonostante il predominio di un menù light di mezzogiorno che strizza intelligentemente l’occhio alla salvaguardia del portafogli preservando qualità e sapore, di costruirmi una piccola degustazione su misura attingendo e miscelando dalla carta del pranzo e, tempi tecnici permettendo, da quella più impegnativa della cena.
Fuori fervono i preparativi per la festa del Santo Patrono, San Gregorio Armeno, ed è tutto un tripudio virtuoso di luminarie che replicano, moltiplicandoli nella vivida luce invernale, festoni, cornici e loggiati dei palazzi intorno alla bellissima Piazza Salandra; dentro, invece, la luce morbida dell’ombra della strada, il chiacchiericcio discreto ai tavoli tutti sorprendentemente pieni, la pacatezza e il sorriso mai di maniera di Maria Rosaria, una carta semplice e sincera che parla del territorio, lo indaga, lo setaccia e lo restituisce trasformato con intelligenza e senza provocazioni spinte che qui, lo so, lo sanno, creerebbero solo malintesi.
L’inizio è una ciotola di roventi arancine di riso con zucchine e pecorino e un calice di ottima November Ray, la versatile Pale Ale del birrificio B94: perfettamente croccanti e dorate fuori, morbide e ricche di sapore dentro, le arancine parlano di cultura mediterranea, di cibi di strada che in questi giorni di feste patronali hanno la loro massima espressione, di freschezza e autenticità dei prodotti della terra ricercati dallo chef.
Il primo parla ancora di terra ma va a braccetto col mare, quello dolce e profumato dello Jonio: con gli gnocchetti di patate e ceci con cozze nere su crema di ceci, Leonardo parte dalla tradizione dei ciceri ma la sposa ai mitili per giocare con consistenze, colori e timbri di sapori e lasciare alla fine piacevolmente sorpresi per equilibrio e pienezza di gusto.
Al secondo abbandono la birra per lo Chardonnay Candòra di Schola Sarmenti perché preparo il palato alla frittura che qui è particolarmente intrigante e riuscita: quella che oggi arriva in tavola – perché cambia sempre a seconda del pescato e della verdura disponibile – è di alici carnose e freschissime miste a zucchine, e solo a vederla mette allegria: è vaporosa, profumata e vorresti non finisse mai per quanto è buona e saporita.
Al momento del caffè assisto, rapito, al via vai di mercanti che si apprestano ad allestire le loro bancarelle di frutta secca, dolciumi d’irrinunciabile mandorla, olive d’ogni sfumatura di verde e l’immancabile scapece, il pesce in salamoia con zafferano simbolo delle feste patronali salentine. Tra qualche ora ci sarà baraonda, un groviglio di corpi, luci, forme, colori, odori e musica, sì anche quella, dall’intramontabile cassarmonica.
Il Modò, dall’esterno, geometrico, silenzioso e distaccato, apparirà ancora di più come la casa di una famiglia di alieni sbarcata a Nardò, ma basta varcarne la soglia per capire subito, a tavola, che il cuore è lo stesso che batte lì fuori.
Ristorante Modò
Via Duomo, 20
Nardò (LE)
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