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vino dentro

| danilo giaffreda

I vini si guardano. I vini si annusano. I vini si fanno danzare in calici paffuti e cristallini. I vini si masticano. Si assaporano godendo il calore che ti invade la bocca. I vini si bevono e diventano infiniti. T’assediano le narici. Pervadono ogni recondito andito tra bocca e naso. Scatenano ricordi. Ti invitano all’oblio. Ti avvolgono in uno stato di grazia, di leggerezza, di serena e consapevole assenza. Ti guardano, dorati, ambrati, cremisi, rubini, rosati, viola come inchiostro, attraverso la verità del vetro, e ti richiamano, dieci, cento, mille volte, come sirene. Il loro profumo è irresistibile. Cambiano continuamente timbro. Si espandono nell’universo chiuso del bicchiere, poi esplodono, nell’aria. Riprendono l’ossigeno che era stato loro tolto e se lo sposano. Li riassaggi, con delicatezza, per non perdere un attimo di questa metamorfosi che è miracolo. E riassaggiandoli, senza foga, senza fretta, senza tempo, senti che parlano. Sussurrano, più che altro. Ti raccontano da dove arrivano, da quale terra l’uva che li ha generati ha cercato la luce e l’aria, quali mani l’hanno accarezzata, sfiorata, palpata, quali occhi attenti ne hanno seguito l’invaiatura e l’hanno vista crescere e inturgidirsi nel sole. Ti bisbigliano di quando, poi, succhiati da quell’uva, sono diventati lentamente adulti prima nell’acciaio e poi nel legno, all’ombra di vecchie volte di pietra, respirando attraverso la fibra viva di roveri profumati tutta la freschezza di quell’ombra. Ti descrivono, poi, per filo e per segno il travaso nelle bottiglie e il lungo riposo prima di arrivare alle tue labbra, prima distratte, poi contratte, infine disposte a raccogliere, sorso dopo sorso, le mille parole d’amore che sanno pronunciare per sedurti e poi definitivamente conquistarti.

I vini raccontano perché, poi, vogliono essere raccontati. Non vogliono essere versati con distrazione mentre sei occupato a scegliere la cena dalla carta. Non vogliono bagnarti per caso le labbra ed essere beatamente ignorati mentre sei tutto concentrato a chiacchierare con i tuoi ospiti o impegnato in faticose avances con il partner di turno. Non vogliono giacere inermi in fondo a un calice in attesa che qualcuno si ricordi di rabboccare. Vogliono, invece, diventare essi stessi seduzione con le parole prima ancora di farsi bere, ultimo atto della capitolazione a un fascino irresistibile.

Diffidate allora dei sommelier muti e inconsapevoli; degli eventi dove tutti bevono senza capire affondando semplicemente narici ottuse in vetri mai sufficientemente larghi; di quelli che elencano fiori, frutta e nuance e non spendono la parola amore che trasuda copiosa da quel bicchiere sempre troppo poco accarezzato;  dei ristoratori che aprono sempre le stesse bottiglie a lasciano languire tutte le altre sugli scaffali come dentro teche di musei; degli esperti della radio e della televisione sempre troppo generosi sui nomi propri di produttori ma avari di passione e partecipazione;  delle enoteche che danno lustro ai soliti noti e non vanno in giro a scoprire, annusare, ascoltare e inebriarsi dei nuovi nettari che tanti piccoli produttori con passione, determinazione, coraggio, follia, rabbia, producono spesso in piccole quantità, con pochi mezzi a disposizione, tra mille difficoltà, ma con la forza prorompente dell’amore per la terra e la bellezza che questa non cessa mai di raccontare.

“Il vino è il canto della terra verso il cielo” diceva il grande Luigi Veronelli.

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